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Ungheria 1956. Il messaggio di una rivoluzione oltre un quarto di secolo dopo
Ungheria 1956. Il messaggio di una rivoluzione oltre un quarto di secolo dopo
Ferenc Fehér, Agnes Heller, Paolo Flores d'Arcais (editor)
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Prefazione al testo di Paolo Flores d'Arcias.
Volume numero ""39"" della collana diretta da Luciano Pellicani e Paolo Flores d'Arcias ""Argomenti"". Traduzione del testo dall'inglese di Amedeo Vigorelli.
Pure a distanza di tempo, la rivoluzione ungherese del 1956 resta un rimosso che la memoria storica e la coscienza politica della sinistra si ingegnano a non far riemergere. Nessuno a sinistra vuole appropriarsi del '56 ungherese, anche se presenta praticamente tutte le caratteristiche considerate da Marx peculiari di una rivoluzione proletaria autentica: unificazione della classe operaia, che solo nella prassi rivoluzionaria si riconosce medesima quanto all'essenza, e unificazione di tutti i ceti sociali in sintonia e sotto la direzione del proletariato. «Atteggiamento curioso», scrive nella "Prefazione" Paolo Flores d'Arcais. «Vale la pena indagare. Arrischiamo: la rivoluzione ungherese del 1956, in un primo tempo rifiutata e vilipesa, in seguito messa a tacere come insignificante, resta soprattutto ancora oggi "inammissibile" perché rappresenta la "prima rivoluzione del futuro", anno zero di una duplice storia: di liberazione dal modo di produzione totalitario e di superamento del carattere ipocrita della democrazia occidentale, la sola fin qui realmente esistente. Storia tutta da scrivere, ancora, perché tutta da fare. Storia virtuale, dunque, non prevedibile secondo scienza e tuttavia auspicabile secondo coscienza, se i valori trascelti sono quelli della eguaglianza e della libertà a preferenza e contro quelli del dominio e dell'apologia dell'esistente. Storia priva di certezze, allora, dal momento che esse non si danno mai nella storia bensì nei dogmi delle metafisiche più o meno travestite. Una rivoluzione che permette di iscrivere, fra i futuri possibili, quello della "democrazia radicale"».
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